Oggi sono molto tranquilla, sembri quasi un ricordo, anche se in cuor mio so perfettamente che così non è. Ho dormito bene, anche senza la mia bustina di magnesio e potassio, ho fatto un’unica tirata di sonno, senza svegliarmi nel cuore della notte con l’incubo di restare col cervello attanagliato a te. Ho comunque fatto un sogno che ti riguardava, ma non ricordo granchè, solo qualche volto e vaghe sensazioni.

Mi sono alzata anche tardi, ho vissuto la mia nuova routine senza di te e ho assaporato anche cose banali come guardare due cartoni animati senza mettere fretta ai miei bambini.

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La mia prima maratona.

Ho lasciato per troppo tempo che qualcuno mi rubasse l’anima.

Il racconto della mia maratona me lo immagino con una colonna sonora bella e non a caso scelgo un album bellissimo, che si chiama “a casa tutto bene” di Brunori Sas. Si, perché la maratona non è il giorno della gara ma tutta la preparazione ed io l’ho iniziata a dicembre, senza una vera e propria tabella, senza un criterio preciso e senza celebrazioni ufficiali.

Ho deciso di correre una maratona in maniera del tutto inconsapevole. Non sapevo effettivamente cosa stessi scegliendo di fare, non avevo la più pallida idea di come avrei potuto correre per 42km. Avevo alle spalle poche mezze maratone chiuse col fiatone e che mi avevano lasciato addosso solo la sensazione di benessere legata alla fine di una grande impresa.

Ero al mare, a prendere il sole su un lettino al lido, scorrevo col dito le notizie FB e scorgevo l’apertura delle iscrizioni a Roma 2017, 2 aprile 2017. Eravamo solo ad agosto e c’era gente che già aveva pensato di iscriversi alla maratona di Roma. Mangiavo svogliatamente un pacco di baiocchi, i miei biscotti preferiti e pensavo a questa cosa…ed anche al fatto che mi sarebbe piaciuto correrla.

Beh, quel pacco di baiocchi portava una data di scadenza stampata sul retro ed era proprio 2 aprile 2017. L’ho preso come un segno del destino e così ho scritto un post su un gruppo Facebook che bazzicavo, prendendo una specie di impegno solenne a correre lamia prima maratona nel 2017.

Credo di avere un vuoto sportivo che va da agosto a dicembre, fatto di eventi giganteschi che mi sono capitati, tutti così grandi da aver lasciato cicatrici profonde e poca voglia di mantenere il mio impegno e tanta invece di mollare anche la corsa. In tutto questo lasso di tempo c’è stata una costante, una persona sempre presente e per la quale non ho mai mollato la corsa e mai accantonato il mio impegno…e così a dicembre ho iniziato la mia preparazione in solitaria.

I traguardi sono stati tanti, non ricordo esattamente la quantità di chilometri che ho macinato, ma ricordo alcuni eventi, come i miei primi 24km da sola, in una giornata romana uggiosa e fredda. Non sapevo come iniziare, ma era semplice, bastava correre… sempre con l’aiuto di chi credeva nella mia impresa, che mi aveva anche consigliato cosa mangiare prima e durante, alla fine li ho corsi, nonostante non avessi la forza e nemmeno quella distanza nelle mie gambe.

Ricordo anche i 28km, ed i 34 ed i 36… ed ogni distanza aveva in se il sapore del traguardo, il desiderio di farcela per dimostrare a quella persona quanto fossi capace di essere amabile ai suoi occhi. Quanto meritassi le sue attenzioni per la mia bravura e la mia caparbietà. Nonostante i crampi e la debolezza e gli eventi che mi distruggevano, io correvo.

I 36km sono stati belli come un giorno di primavera, anche se tirava un vento pazzesco e avevo male al ginocchio già dal ventesimo chilometro, ma ero felice… correvo come se fossi nata per correre e ascoltavo “a casa tutto bene” in continuazione. Un album che parlava di noi. In ogni singola canzone trovavo una strofa che mi dicesse qualcosa.

La preparazione mi aveva debilitata e notevolmente, ero giù di tono con gli allenamenti. Non ero soddisfatta dei miei tempi e sentivo che qualcosa non andava. A marzo mi son decisa ad integrare con del ferro la mia alimentazione.

Ho visto già da subito i miglioramenti. Ed ho iniziato a pensare che potevo sperare in un tempo migliore per la mia maratona.

La data si avvicinava e dentro di me avevo solo voglia di correre quella gara.

Non avevo paura, non avevo ansie, solo tanta voglia di correre.

Il due aprile un bel giorno è arrivato, con pessime previsioni meteo.. nonostante i giorni precedenti fossero stati limpidi e caldi, quel giorno portava solo tanta acqua.

Al mattino forse un po’ di ansia mi era venuta.. ma ero comunque felice. Ho mangiato due fette biscottate con marmellata, ho preso la mia compressa di ferro, ho bevuto del the e mi sono vestita.

La temperatura era buona. Non pioveva.

Arrivare al Colosseo e incontrare tanti runners è stato emozionante. Mi sono sentita forte come loro. Era incredibile e continuavo a sentirmi felice.

La partenza è stata battezzata dalle gocce della pioggia… che mi hanno tenuto compagnia per quasi 20km. Per terra c’erano pozzanghere enormi. I sanpietrini scivolosi brillavano sotto un cielo grigio e tuonante. Ma nonostante questo, io ero la persona più felice del mondo. Ho dispensato sorrisi a tutti, sollecitato il tifo, battuto le mani alle bande, cercato gli sguardi della gente e schiacciato cinque con chi porgeva la mano. Ho ballato laddove trovavo la musica e festeggiato laddove c’era una tromba, del resto quel pubblico festante era sotto la pioggia anche per me! Ed io ero felice.

Al 28mo km ho iniziato a sentire fame, i ristori erano bellissimi, sembravano delle oasi nel deserto. La frutta in bella mostra, i bicchieri coi sali… ho pensato che avventarmi su un arancia succulenta non poteva farmi male. Ma non potevo fermarmi, avevo paura dei crampi e nella mia testa una vocina suggeriva insistentemente di non fermarmi. Mi sono infilata in mezzo alla gente, avrò strattonato qualcuno e urlato “permesso, non posso fermarmi”, ho allungato un braccio e preso al volo uno spicchio di arancia rossa con la sua buccia. L’ho azzannata e gustata come se mangiassi un frutto proibito, il succo colava dalla mia bocca. Era quasi una scena sexy, finito lo spicchio l’ho lanciato per strada e mi son leccata le dita. Mi sentivo un po’ una cannibale della maratona. Superavo le persone e mi leccavo le dita profumate di arancia.

La strada sembrava ancora lunga ed io ero felice. Correvo come Forrest Gump, mi piaceva un sacco guardare la gente ai bordi della strada e immaginare il percorso che ancora mi aspettava; e intanto la pioggia tornava a battere sull’asfalto. Benedetta pioggia che mi bagnava le guance, la pelle, le ciglia, le scarpe, i capelli.

Avevo paura di quello che avrei trovato dopo i 36km. Aspettavo quella distanza facendo i conti con i miei allenamenti. Ormai francesco era lontano da me, lo avevo lasciato alle spalle ed ero sola con la mia maratona perfetta. Prima del 36mo km aspettavo la salita. Una salita cattiva. Me ne avevano parlato. Ed io stavo per farla. Forse sarebbe stata una prova del 9. Se fossi crollata a quella salita la mia maratona poteva chiudersi lì.

Ma quella salita è stata così breve e soddisfacente che non ero certa fosse quella incriminata. A dire il vero ho accettato che fosse così solo dopo il 40mo km, quando di salite non me ne aspettavo più.

Sentirmi chiamare di tanto in tanto mi rendeva orgogliosa, perché il mio nome lo leggeva chi avevo appena superato!

Quando abbiamo imboccato via del corso ho avuto un cedimento… l’idea di doverla percorrere tutta e poi raggiungere Piazza di Spagna mi ha spiazzata. Ho rallentato un po’, mi sono persa d’animo ma tutto questo è durato un minuto. Dopo ho deciso che era bello essere su quella strada che di solito percorrevo per lo shopping. Adesso ero al centro della strada, sotto la pioggia e con le saucony ai piedi per correre la mia prima maratona.

In un batter d’occhio ero già a Piazza del Popolo e dopo poco a Piazza di Spagna e le mie gambe andavano alla grande, la pioggia mi accarezzava e la gente mi chiamava.

Mancava poco al mio traguardo. Ero incredula.Ogni tanto facevo dei conti in testa: se dovessi fermarmi la chiudo comunque sotto le quattro ore?

Non avevo ambizioni ma quel risultato era quello che volevo e pretendevo a quel punto della gara.

Vedere il cartello dei 42km mi ha fatto piangere. Non ci potevo credere, adesso voltato l’angolo avrei trovato il traguardo.

Mi ha affiancato una ragazza, una bella ragazza col volto felice, mi ha guardata e mi ha detto: dai, non sono i 42km ma i 195 metri che ci fregano. E allora ho allungato il passo, ed il traguardo era lì, ad un passo da me. Una strada larghissima che io dovevo solo correre per poter prendere la mia medaglia.

Eccola la mia medaglia, sono una maratoneta…e me la sono lasciata infilare al collo piangendo di gioia. Avevo corso la mia prima maratona in 3 ore, 59 minuti e 44 secondi e lo avevo fatto grazie a chi credeva in me. Ho baciato la mia medaglia, ho fermato un maratoneta come me e gli ho chiesto di immortalare per chi ci aveva creduto, uno dei momenti più belli della mia vita.